Rachele Ferrario

Docu-fiction

"SEI DONNE STRAORDINARIE DELLA STORIA ITALIANA"

Margherita Sarfatti, Ondina Valla, Adele Faccio, Vera Vergani, Chiara Lubich e Lalla Romano rivivono nelle interpretazioni di Sonia Bergamasco, Eleonora Giovanardi, Monica Nappo, Matilde Gioli, Anita Zagaria, Pamela Villoresi 

“IL SEGNO DELLE DONNE”:

RACHELE FERRARIO “INTERVISTA”

Margherita Sarfatti

Scrittrice e critico d’arte, Margherita Sarfatti fu il primo critico d’arte donna in Europa, il cui ruolo nella storia dell’arte italiana tra le due guerre fu fondamentale. Nata a Venezia nel 1880 in una ricca famiglia ebrea – il padre Amedeo Grassini aveva fondato la società di servizi di trasporti pubblici veneziani ed era amico e finanziatore del patriarca Giuseppe Sarto, futuro papa Pio X – fin da ragazza S. parla e scrive in inglese, francese e tedesco. Nel 1902 con il Marito Cesare, di cui porta il cognome, si trasferisce a Milano, dove scriverà per le pagine dell’«Avanti» e dal 1918 per il «Popolo d’Italia». Prima di fondare il suo frequentò il salotto di Anna Kuliscioff e gli ambienti della filantropia milanese, consolidando l’impegno sociale e politico. Si impegnò scrivendo a favore delle donne. Sostenitrice del futurismo e amica di Boccioni la Sarfatti perderà il primogenito Roberto, morto combattendo sul col d’Echele e prima medaglia al valore militare. Su questa tragedia si consolida il suo rapporto e la passione con Mussolini.
La Sarfatti sarà tra i sostenitori della nascita del fascismo e nel 1923 con fonda il gruppo di Novecento, un’arte d’avanguardia in linea con la tradizione classica europea. Autrice di Dux, la biografia del duce divenuto bestseller internazionale, dal 1927 S. venne sempre più isolata dallo stesso Mussolini, che disapprovava l’insistenza con cui lei sosteneva gli artisti del movimento. Estromessa da ogni incarico e dalla mostra che celebrava il decennale della rivoluzione fascista nel 1932 S. continuò a essere responsabile di «Gerarchia» ed avere influenza presso gli ambienti internazionali fino al 1939, quando fu costretta a fuggire in Sud America per salvarsi dalle persecuzioni razziste. Quando rientrò dall’esilio in Sud America all’inizio degli anni Sessanta, Renzo De Felice, resosi conto dell’importanza del suo ruolo nella costruzione del mito classico e dell’estetica del regime, aveva voluto intervistarla.

Ondina Valla
È il 1927 quando, a Bologna, un militare mandato dal governo cerca giovani sportivi per la Coppa Littoria. Trebisonda Valla, detta Ondina, viene notata così nel cortile della propria scuola: è alta, agile e si distingue subito tra le sue compagne per i risultati nei 50 metri piani, nel salto in alto e nel salto in lungo.
Inizia in questo modo la favola di Ondina, che, in pieno regime fascista, si discosta dai classici ruoli femminili del tempo e inizia il suo percorso di successi nell’atletica leggera. Fino ad arrivare a Berlino: è il 1936 e all’Olympiastadion si celebra l’XI edizione delle Olimpiadi moderne. Sono Olimpiadi celebrate fastosamente, organizzate alla perfezione, nonché immortalate dalla regista Leni Riefenstahl nel celebre film “Olympia”.
Le aspettative del pubblico italiano, che sostiene fieramente la Valla, non vengono deluse. Ondina, infatti, stabilisce il primato del mondo nella gara degli 80 metri ostacoli vincendo la semifinale e arriva prima al traguardo della finale, in una gara serratissima in cui è necessario il fotofinish per decretare l’ordine di arrivo delle prime quattro atlete. In quell’occasione, Ondina si impone anche sulla sua collega e rivale di sempre, Claudia Testoni, che arriva quarta.
La vittoria della Valla alle Olimpiadi di Berlino del ’36 è un evento storico per lo sport femminile azzurro: è il primo oro olimpico conquistato da una donna italiana.
La Valla continua a competere e a vincere fino ai primi anni Quaranta, quando è costretta ad abbandonare l’attività agonistica per problemi alla schiena. Nel 1944 sposa il chirurgo Guglielmo De Lucchi e si trasferisce a L’Aquila, dove, dopo la nascita di suo figlio Luigi, si dedica alla famiglia e lavora nella clinica ortopedica aperta da lei e Guglielmo.
Ripercorreremo le tappe della sua vita e della sua impresa sportiva, in un contesto storico sociale, quello del Fascismo, in cui una donna per potersi imporre non poteva che essere straordinaria.
Vera Vergani

Nel 1905, sul palcoscenico di un teatro a Cividale del Friuli, Vera Vergani debutta in una rappresentazione di Così va il mondo bimba mia di Giacinto Gallina. Vera ha allora appena dieci anni, ma il suo futuro nella recitazione appare già una certezza. È cresciuta tra gli artisti che frequentavano la casa della sua famiglia, i Podrecca, e sa bene quale strada vuole percorrere.
Un frequentatore abituale di casa Podrecca è il capocomico Ferruccio Benini, che nel 1912 propone alla diciassettenne Vera Vergani di entrare a far parte della sua compagnia. Ha inizio così, dunque, la carriera di Vera.
Il talento della Vergani la porta in seguito a recitare per le compagnie di Ruggero Talli dal 1914 e di Dario Niccodemi dal 1920. Il sodalizio artistico con quest’ultimo le porta innumerevoli successi: è l’attrice di Pirandello e di D’Annunzio, viene apprezzata dalla Duse e amata dal pubblico.
Vera Vergani incarna a pieno il mito del divismo degli anni Venti. È una donna coraggiosa e anticonvenzionale, che conquista spettatori in tutto il mondo.
Durante una traversata oceanica si innamora di Leonardo Pescarolo, comandante del transatlantico su cui viaggia, e decide di lasciare per sempre al teatro per dedicarsi alla famiglia.
È ancora bella, all’apice del successo, ma il 13 gennaio del 1930, dal palcoscenico del Teatro Manzoni di Milano, saluta il suo pubblico per l’ultima volta.

Adele Faccio

Adele Faccio è stata militante del Movimento di Liberazione della Donna e parlamentare con il Partito Radicale dalla seconda metà degli anni ’70. In prima linea nella battaglia contro l’aborto clandestino, è a lei che si deve la Legge 194, grazie alla quale oggi l’interruzione di gravidanza non è più né un reato né un rischio di vita per le donne. Per ottenere questo risultato, non ha esitato a farsi arrestare.

Genovese, classe 1920, filologa di formazione e ribelle per passione, è stata una convinta sostenitrice della disobbedienza civile come l’arma più forte per il riconoscimento dei propri diritti.

Era stata partigiana e, all’inizio degli anni ‘50, a Barcellona, si era unita alla Resistenza antifranchista catalana diventando editrice di una rivista clandestina.

Raccontava che già da piccola, quando sua madre diceva “siete dei ribelli!”, lei era felice, perché per lei quella parola voleva dire “due volte belli”. La bellezza di un leader dai modi gentili che riusciva a farsi seguire pur restando un passo indietro.

Adele Faccio è riuscita a stare al fianco dei politici pur restando indipendente ed è stata un’antesignana di un femminismo che andava al di là del genere e che lasciava le donne libere di essere madri e di esserlo con o senza un compagno.

Chiara Lubich

Chiara Lubich, all’anagrafe Silvia, è la prima donna ad aver fondato un movimento cattolico: il Movimento dei Focolari, che al culmine della sua espansione arriva ad essere diffuso in 87 Paesi e 22 lingue.

Il Movimento nasce a Trento nel 1943, sotto i bombardamenti della guerra: Chiara Lubich e le sue amiche, a poco più di 20 anni, lasciano le famiglie per andare vivere in un piccolo appartamento tra sole donne, con lo scopo di occuparsi dei poveri e dei bisognosi. Il nome scelto, “Focolari” esprime proprio il concetto di accoglienza e calore familiare, riprendendo l’immagine della Sacra Famiglia.

Ricevuta l’approvazione dal vescovo, nel 1948 Chiara Lubich si trasferisce a Roma, dove il Movimento incontra la politica. Chiara è invitata a parlare a Montecitorio e prima Igino Giordani, poi molti altri onorevoli aderiscono al suo messaggio e diventano focolarini. Apertosi al genere maschile, e poi agli sposati, il Movimento inizia includere persone con una storia e una provenienza sempre più diversa. Per Chiara non ci sono differenze, neanche di credo: tutti possono diventare focolarini, anche se non sono di religione cattolica, anche gli atei.

Negli anni ’60 Chiara Lubich fonda le prime “Mariapoli”, ossia i primi raduni, diventati sempre più numerosi anno dopo anno fino al costituirsi delle “Cittadelle” – la prima delle quali a Loppiano, vicino Firenze – in cui si vive un periodo di noviziato, rispettando i precetti del Movimento.

Nel frattempo l’opera di Chiara Lubich si va sempre più internazionalizzando: dopo l’Europa, si allarga all’America, all’Africa, all’Asia e all’Australia. Sostenuta dai pontefici – prima Pio XII, poi Paolo VI e Giovanni Paolo II – Chiara Lubich può allargare sempre più il dialogo interreligioso, viaggiando nel mondo e parlando alla comunità buddista in Giappone, e persino alla comunità musulmana, unica donna laica, bianca e cattolica a essere invitata nella Moschea di Malcom X, a New York. Degna di nota anche la grande amicizia che Chiara ebbe tutta la vita con Atenagora I, patriarca ortodosso dell’antica Costantinopoli. Nel 1991 inizia in America Latina l’avventura di “Economia di comunione”: a partire dal Brasile Chiara Lubich costituisce una rete tra aziende che scelgono di dare una parte dei loro utili ai poveri. Nel 2007 ad aderire al progetto sono 754 imprese, europee e sudamericane.

Negli ultimi anni della sua vita, Chiara Lubich riceve una lunga serie di riconoscimenti e premi da parte di vari organismi internazionali, capi di Stato, chiese locali, università ed enti culturali, tra i quali spiccano il premio Educazione alla pace dell’Unesco nel 1996 e il premio Diritti umani del Consiglio d’Europa nel 1998.

Lalla Romano

 

Pittrice, poetessa, traduttrice, insegnante e soprattutto scrittrice, Lalla Romano vince il Premio Strega nel 1969 con il romanzo “Le parole tra noi leggere”, che ha come protagonista suo figlio Piero. Vince con la sua «lingua pura, eletta e selettiva» in cui «non c’è mai un errore di gusto», come diceva Pasolini.

Il suo non è un romanzo qualunque perché con quella eleganza, quella «sapienza da orefice», come scriveva di lei Vittorini, rompe un tabù: è la prima scrittrice italiana a parlare delle contraddizioni della maternità, del dramma che può nascondersi nel rapporto con un figlio, a dichiarare che il sentimento d’amore può convivere con quello del rifiuto.

Una donna libera e indipendente, un’intellettuale che sfugge a qualsiasi tendenza e non appartiene a nessun gruppo, che attraverso la letteratura inventa la sua stessa vita e che quel giorno del ’69 entra a fare parte dei classici del Novecento.

Tutto mi sarei attesa dalla vita tranne che di condurre un programma televisivo.

Tutto mi sarei attesa dalla vita tranne che di condurre un programma televisivo. E invece mi sono trovata a condurre “Il segno delle donne”, la la docu-fiction in cui intervisto sei grandi attrici che impersonano sei grandi donne italiane del Novecento.
La prima è Margherita Sarfatti, quella che conoscevo meglio, avendone scritto la biografia. Mi sono trovata davanti Sonia Bergamasco che si è calata perfettamente nel personaggio e usa le sue stesse parole e consente di completare l’opera che ho cominciato con il mio libro, cioè trascinare la Sarfatti fuori dal letto di Mussolini e restituirla alla sua complessità e alla grandezza di critica d’arte e intellettuale.
Le altre donne sono Ondina Valla interpretata da , la prima italiana a vincere la medaglia d’oro nel drammatico contesto delle olimpiadi del 1936, Adele Faccio, con cui tutte le donne italiane sono in debito, Vera Vergani, un’attrice affascinante anche lei restituita alla sua dimensione di antesignana; Chiara Lubich che ha la tempra dei fondatori, anzi delle fondatrici; Lalla Romano, scrittrice che molte di noi hanno amato e che ha affrontato i temi complessi dell’universo femminile.
Sono grata a Gloria Giorgianni che mi ha coinvolta in quest’avventura, a Rai Storia, ai registi Andrea Martelli e Marco Spagnoli, agli autori Mariangela Barbanente, Laura Bernaschi, Daniele Pini e Dario Sardelli, a tutto lo staff della produzione di Anele e in particolare a Emma Di Loreto, Iolanda Cirillo, Elisa Battisti, Sabrina Mancini. Il mio ringraziamento va a tutte le persone coinvolte nelle giornate delle riprese dalle attrici alle costumiste, ai fotografi, ai fonici, agli scenografi e a ogni operatore dello staff.

Il Segno delle Donne è una co-produzione Anele e Rai Storia, realizzata da Anele. Prodotta da Gloria Giorgianni. Soggetto di Gloria Giorgianni, Massimo Favìa e Andrea Martelli. Testi di Mariangela Barbanente, Laura Bernaschi e Dario Sardelli con la collaborazione di Rachele Ferrario, Andrea Martelli, Marco Spagnoli, Daniele Pini. Consulenza storica di Silvia Salvatici. Regia di Marco Spagnoli (Adele Faccio, Ondina Valla, Vera Vergani) e Andrea Martelli (Chiara Lubich, Lalla Romano, Margherita Sarfatti).

“PRIMA VISIONE”

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