La relazione tra arte e potere è uno dei punti nodali del Novecento e varie figure hanno deciso di cavalcare questa congiuntura, nei luoghi delle dittature, imponendo la propria visione. In Italia è stato centrale, in questo senso, l’intervento di una figura, complessa, affascinante e controversa, Margherita Sarfatti, a cui Rachele Ferrario dedica una ampia e documentata biografia a lei intitolata che reca come sottotitolo La regina dell’arte nell’Italia fascista.
Come già nella precedente ricostruzione di Roberto Festorazzi (La donna che inventò Mussolini, edito da Angelo Colla nel 2010), anche qui ha un peso notevole la scrittura del fatidico Dux, uscito nel 1926 con grandi acclamazioni in Italia e all’estero che costribuì non poco alla fama del Duce. Al di fuori del consueto diagramma della relazione tra la sofisticata giornalista e scrittrice e «l’uomo della provvidenza» all’inizio della sua dittatura, l’autrice ricostruisce con dovizia di dettagli l’impegno nelle arti, testimoniato in primo luogo dai ritratti della signora che illustrano il volume, a firma di Umberto Boccioni e Arturo Tosi, ricostruendo il sodalizio con figure del calibro di Medardo Rosso e Mario Sironi.
L’avventura del Gruppo di Novecento storicizzata dagli anni Settanta, nel momento in cui veniva meno per certi aspetti l’embargo contro le memorie del tempo fascista, l’ha vista protagonista di un’epoca, scaltra, determinata, come testimoniano le cronache che la descrivono al fianco di Mussolini il 14 febbraio 1926 al Palazzo della Permanente di Milano al momento dell’inaugurazione della mostra «Novecento Italiano». Gli eventi che aveva saputo dominare a lungo, la costrinsero poi all’esilio, a Montevideo, ma il suo destino, anche quando tornò dopo la guerra, rimase legato a quello del tiranno, come testimoniò la ricezione italiana al suo libro di memorie Acqua passata, uscito da Cappelli nel 1955.
Margherita Sarfatti. La regina dell’arte nell’Italia fascista, di Rachele Ferrario, 404 pp., Mondadori, Milano 2015, € 25,00